Chi sei? Dove vivi?
“Chi sei?” è una domanda che apre ad una complessità enorme. Rimanda al concetto d’identità. L’identità per me è un rapporto, un processo e non un qualcosa di fisso e immutabile. Fino a qualche tempo fa avrei risposto con una citazione di Montale: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Oggi la negazione lascia spazio alla costruzione. La mia identità, “ciò che sono”, oggi più che mai è una relazione con la mia comunità e con ciò che mi circonda e mi trapassa.
Oltre ad attraversare i luoghi e le situazioni, mi sento attraversato. È uno scambio continuo. La costruzione perenne di ciò che sono è in realtà la costruzione di un ciò che siamo. Vivo nel Mediterraneo e anche qui vale quanto detto sopra. Quando mi chiedono quale sia il posto più bello di Lampedusa io rispondo Linosa. Amo Lampedusa ed è un luogo magico e pieno di contraddizioni, ma sento di abitare nel Mediterraneo.
Musicista autodidatta, che cresce e vive in una piccola isola immersa nel mediterraneo. Da cosa è nata la vocazione musicale? Forse un incontro particolare di cui vorresti parlarci?
Le vocazioni spesso sono l’eco di vite passate che ci portiamo addosso. Il mio bisnonno e mio nonno suonavano l’organo in chiesa. Mio padre la chitarra in casa. Sono cresciuto con la musica, sia ascoltandola che suonandola.
La militarizzazione dell’Isola e le problematiche correlate alla questione dei migranti sono dei temi centrali in tutto il tuo lavoro, secondo te l’arte, la cultura, la musica, possono riuscire a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento?
Credo che le forme d’espressione possano essere utili ad aprire alla complessità di questi argomenti ma senza l’analisi, le inchieste, gli approfondimenti si rischia di fare confusione. L’arte per sua natura si presta a più forme d’interpretazione e il contesto molto spesso modifica l’opera. A seconda di dove essa viene esposta e quale cornice critica le viene data, il suo significato può cambiare totalmente.
L’arte non basta.
Da cosa nasce il collettivo ASKAVUSA ?
Nasce nel 2009 a seguito della volontà dell’allora Ministro dell’Interno Maroni di costruire sull’isola il primo CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) d’Italia. In tale occasione abbiamo sentito l’esigenza di instituire un’associazione culturale che potesse prima di tutto raccontare l’isola dal nostro punto di vista.
La narrazione dell’isola dove o siamo tutti buoni, bravi e accoglienti, oppure tutti quanti razzisti, purtroppo continua ad essere utilizzata per continuare con la militarizzazione e il processo di espropriazione da parte dell’UE e della NATO.
Spesso, sentendo parlare di Lampedusa e delle problematiche in corso, si ha l’impressione che riguardino solo l’Isola e non l’intera Nazione. Tu in quanto cittadino lampedusano, ti senti isolato o supportato e ascoltato?
In realtà su quest’isola esplodono tutte le contraddizioni della globalizzazione neoliberista. I nostri problemi sono quelli del mondo, ma purtroppo molti dei miei concittadini pensano di poter risolvere le questioni con uno sguardo molto limitato sui propri interessi e la propria dimensione. Se è giusto partire dalla propria realtà, non ritengo giusto però sganciarla dalla dimensione globale. Non mi sento ascoltato assolutamente. Il punto è che dovremmo cambiare direzione, dovremmo cominciare a rivolgerci non più alle istituzioni ma alle classi subalterne del Mediterraneo. Costruire insieme un percorso politico in quest’area, sganciandoci dal Nord Europa e da questa classe politica che ha creato solamente povertà e disparità, inquinamento e rapina.
C’è un’esperienza in particolare che ti ha maggiormente colpito nel tuo lavoro?
No, non c’è un’esperienza in particolare.
Pensi che il tuo contributo al territorio sia importante? In che modo?
Questo non lo so. Dovrebbero dirlo gli altri e non io.
Come valuti la situazione in Sicilia riguardo al settore artistico?
Ci sono degli artisti che mi piacciono molto e sono quelli che a partire dalla nostra grande tradizione di arte popolare cercano altre strade. Penso ad Alice Valenti per esempio.
In generale credo che da un lato abbiamo un enorme patrimonio da rielaborare e riattualizzare ma ci mancano le strutture e le reti, il supporto del pubblico e la capacità di relazione tra noi “artisti siciliani”. Se penso alla sola Lampedusa quanti talenti esprime nel campo della pittura, della musica, del video e della fotografia mi rendo conto dell’enorme potenzialità che la Sicilia ha, ma che spesso rimane soffocata. In generale, a parte la Sicilia, si dovrebbe fare un ragionamento più vasto sul mondo dell’arte, che subisce come ogni altro settore tutte le distorsioni del sistema capitalista. Il sistema dell’arte non solo subisce ma spesso riproduce e amplifica certe distorsioni e certe narrazioni. Debord, Pasolini e altri pensatori hanno fatto un’analisi molto lucida sulla “società dello spettacolo” in cui l’arte e in generale la comunicazione giocano un ruolo centrale. Credo che la Sicilia possa esprimere un’arte slegata da certi meccanismi ma il punto è che bisogna creare una rete di supporto e di fruizione dell’arte sganciata da certe logiche. Non è semplice ma la Sicilia potrebbe farlo.
Cosa prospetti per la tua arte?
Quando si parla della “mia arte” non so cosa dire. Io faccio musica, cinema, teatro, pittura, scultura, recupero e riciclo, scrittura. In certi momenti vorrei abbandonare tutto e mettermi a studiare per bene la chitarra, e in altri fare come Picasso o Basquiat e rinchiudermi in uno studio per dipingere 12 ore al giorno. Altre vorrei ritirarmi a Linosa e mettermi a scrivere i 100 libri che ho in testa.
Altre volte penso di dedicarmi esclusivamente alle forme di narrazione della tradizione popolare siciliana a partire dal “Cuntu” e dall’Opera dei pupi. Sono spacciato in ogni caso. Pasquale un mio caro amico mi diceva sempre “pi essiri bravu a fari sulu na cosa”. Non sarò mai bravo in niente. Per cui la prospettiva che mi auguro è di continuare a mantenere la dimensione del gioco in tutto ciò che faccio.